La normalità del futuro sarà diversa da quella che conoscevamo prima dell'avvento del coronavirus, l’anno 2020 rappresenterà una sorta di anno zero, uno spartiacque nelle nostre esistenze con un “prima” e un “dopo pandemia”.
Il COVID19 è un evento destinato a cambiare sensibilmente le nostre lenti sul mondo, i nostri sistemi economici, la modalità di relazione tra gli uomini.
L’emergenza, in pochi mesi, ha già modificato le nostre vite, le nostre abitudini, la nostra quotidianità, dandoci una diversa percezione di cosa è importante e cosa no, e la certezza che nulla sarà più come prima.
Ma, grazie al coronavirus, l’umanità sta anche acquisendo una nuova consapevolezza, un processo di maturazione, che sta portando a rivedere gli attuali modelli economici e sociali, cercando nuovi strumenti in grado di ripristinare le certezze del passato, ma anche a non commettere gli errori fatti.
L’impegno attuale di uomini di governo, economisti, scienziati è riflettere su come andare avanti, consapevoli che l’attuale situazione è completamente cambiata, e trovare la risposta alla domanda:
una volta usciti dalla pandemia del COVID-19 si potrà uscire anche dalla crisi economico-sociale? E se sì, come?
Una risposta difficile da trovare, in quanto deve essere in grado di abbattere una forte dicotomia: seguire modelli che considerano la persona preminente rispetto al mercato, o, invece, modelli che ritengono la persona sacrificabile rispetto alle esigenze del mercato.
Ciò si è evidenziato dal diverso comportamento adottato dagli Stati di fronte alla pandemia. Da una parte, il modello della Gran Bretagna, seguito da quasi tutti i paesi del Nord Europa, che ha ritenuto utile non fermare l’attività economica preferendo lo sviluppo dell’immunità di gregge, con il sacrificio della vita di molte persone. Dall’altra parte, il modello della Cina, seguito anche dall’Italia, che decide di bloccare il proprio sistema economico e di potenziare quello sanitario, salvando la vita di migliaia di cittadini.
Di fronte ad un’emergenza simile qual è strada più giusta da percorrere? La strada della crescita, andando a incrementare il PIL o del benessere sociale continuo? La risposta più autorevole la troviamo nelle parole di Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’Economia, che evidenzia che c’è qualcosa di «fondamentalmente sbagliato» nel modo in cui misuriamo il progresso economico e sociale.
Infatti, ancora oggi, utilizziamo come metro di misura del successo di una nazione, il PIL, quindi un modello economico esclusivamente quantitativo, che ha rallentato i tassi di crescita, ha creato crescenti disuguaglianze e ci ha resi ciechi di fronte ad alcune serie minacce quali il cambiamento climatico e la perdita delle biodiversità. Un modello economico che ci ha reso vulnerabili di fronte all’emergenza planetaria COVID19.
Di fronte a una situazione di crisi mondiale concepire un diverso tipo di economia diventa un obbligo. Come valida alternativa sta riscuotendo un forte interesse il concetto di Economia del Benessere, che prende in considerazione, anche, indici di misura qualitativi, ad esempio “come stiamo” in quanto individui, comunità e nazione. Alla base dell’Economia del Benessere ci sono obiettivi come distribuzione della ricchezza, qualità della vita e tutela del pianeta.
Secondo l’OCSE, l’Economia del Benessere è un sistema economico che:
Come sottolinea il CESE (Comitato economico e sociale europeo), per raggiungere un’Economia del Benssere è necessario operare cambiamenti fondamentali sulla natura delle imprese, nell’organizzazione del lavoro, nel ruolo degli investimenti e nella struttura del sistema monetario. Ciò vuol dire che dobbiamo entrare nell’ottica di un nuovo stile di vita e nuovi modi di consumo che coinvolgeranno innumerevoli settori. Una metamorfosi mediata dalla tecnologia che ci accompagnerà nei nostri modi di abitare le città (smart city e sharing economy), di lavorare (smart working), di formarci, di divertirci, di interagire con gli altri (community).