Cos’è il Brand Activism? | Definizione ed esempi - Beetroot srl

Cos’è il Brand Activism? Definizione ed esempi

Con il brand activism cambia il modo di creare valore: l’azienda si impegna a trasformare la propria missione in azione, creando valore tanto per i clienti quanto per la società

Il termine brand activation (attivazione di marca) indica l’insieme dei processi attraverso i quali si costruisce una relazione diretta con il target di riferimento per determinarne un’azione, come ad esempio l’acquisto. La brand activation non è una semplice offerta commerciale che ha per scopo la vendita di un solo prodotto (azione one-shot), ma rappresenta una strategia che si posiziona tra engagement e venduto e che necessita di essere alimentata costantemente da obiettivi strategici a breve termine e da una visione a lungo termine.
Ogni singola azione ha lo scopo di creare una spinta (attivazione) incrementale del brand, che parte dalla semplice notorietà fino all’aumento vero e proprio di sell out e di loyalty. Per fare ciò è necessario definire una serie d’interventi come campagne social media, azioni di marketing mirate, eventi sul territorio, presenza e comunicazione in store, coinvolgimento della stampa. La brand activation comprende tutti i touch point brand-consumatore, dal negozio fisico al servizio clienti, dal sito web ai social network, al fine di creare specifiche interazioni in grado di generare esperienza e instaurare una relazione diretta tra il cliente e il brand.

Con la nascita del brand activism cambia la maniera di creare valore: le imprese, invece di utilizzare risorse interne, cercano di intercettare esternamente i movimenti più interessanti a livello politico, sociale e culturale coerenti con i propri valori. Questi diventano parte della loro comunicazione e permettono di passare dal purpose all’azione.
Cos’è e come funziona quindi il brand activism? In poche parole le imprese sposano una o più cause di rilevanza sociale, ambientale, politica o economica e lo dimostrano con il brand attraverso campagne di comunicazione e progetti ad hoc. In questa prospettiva entra in gioco una nuova visione dell’azienda e di quello che è il processo di decisione degli acquisti.

L’assunto di base dell’attivismo di brand è rappresentato da consumi identitari cioè rappresentativi della propria appartenenza a una certa cultura e a un determinato stile di vita.
Ad esempio, risulta che nel processo decisionale d’acquisto dei consumatori giovanissimi (millennials o generazione Z) non incidono solo fattori come la qualità del prodotto o il suo costo, ma anche l’affinità con i valori di brand.
Sembra poi che le nuove generazioni di consumatori acquistino più volentieri da un brand che “prende posizione” sulle questioni, ad esempio, ambientali o sociali.

Sono molti i grandi marchi che hanno preso delle posizioni: ad esempio la Nike ha chiamato come testimonial per celebrare i trent’anni del suo celebre pay off “JustDoIt”, il quarterback Colin Kaepernick, veicolando un forte messaggio contro le politiche migratorie del governo Trump. Grazie a questo attivismo, Nike ha ottenuto un incremento delle vendite del 31% e una visibilità mediatica gratuita.
Airbnb, in occasione del Super Bowl (l’attesissima finale di campionato del football americano) decise di opporsi alla decisione del governo Trump di vietare l’ingresso negli Stati Uniti a tutte le persone provenienti da paesi a rischio terrorismo, offrendo loro ospitalità gratuita. Un attivismo di tipo politico, coerente con la sua missione aziendale che è quella di far sentire le persone a casa, ovunque esse siano.
Anche i temi legati all’ambiente hanno visto attivi sempre più brand davanti alla minaccia rappresentata dall’emergenza climatica o dell'invasione della plastica. Ad esempio, il brand Patagonia utilizza le proprie risorse per implementare soluzioni che possano risolvere la crisi climatica. Il marchio, infatti, sovvenziona associazioni impegnate nella lotta al cambiamento climatico a livello globale.

Il brand activism si basa su due correnti, una progressiva e l’altra regressiva. Con attivismo progressivo si intendono tutte a quelle azioni che spingono al miglioramento di una condizione aziendale e che hanno fini che vanno oltre il profitto. Al contrario, l’attivismo regressivo riguarda le aziende che vantano benefici non completamente veritieri sui prodotti, nascondendo così l’impatto negativo. Vengono spesso definite regressive le aziende che trattano prodotti come i combustibili fossili, sigarette e bevande gassate, le compagnie farmaceutiche che inseguono il profitto a discapito della ricerca, l’industria pesante.

Il brand activism si configura, dunque, come un modello win-win, contribuendo da un lato al vantaggio competitivo del brand, in un contesto in cui il brand compete all’interno della società stessa, dall’altro al miglioramento della società, creando valore.

Oggi, in uno scenario in cui i clienti si stanno orientando sempre più verso consumi identitari, le aziende devono fare il passaggio dal marketing del prodotto al marketing del valore, quindi trasformare la loro missione in azione (brand activism). Secondo questo nuovo modello di competitività le aziende devono provare a competere ed estendere la propria influenza su un territorio più ampio del mercato che è quello della società e“prendere posizione” intercettando occasioni etiche, culturali, politiche, sociali che possano diventare parte della comunicazione del brand stesso.